Perché?

giovedì 13 agosto 2015

Vita: istruzioni per l'uso (per una ghianda felice)

Se siamo una ghianda che vuol a solo manifestare la quercia insita in sé, in che terreno cresciamo?

Già nasciamo immondi, sporcati dal peccato originale.
La metafora raccontata dalla Chiesa vuole semplicemente esplicitare il fatto che veniamo al mondo trascinandoci appresso tutte le turbe psicologiche della nostra famiglia. La storia degli avi si ripercuote sul frugoletto piangente, a partire da quei genitori che chiamano il figlio con il nome dei propri genitori, o addirittura il proprio nome, proiettando inconsciamente sul nuovo nato tutta una serie di caratteristiche. Venuto al mondo, il bimbo si ritrova vittima di una serie infinita di aspettative: genitori che sperano che realizzi i desideri e le opere che loro non sono stati in grado di compiere, un sistema educativo massificatore, nevrosi imperanti e tutto ciò senza un minimo di libretto delle istruzioni.
In che terreno cresce la ghianda? In una discarica!
La prima opera da compiere, quindi, è un'accurata bonifica del terreno, una purificazione di sé. Non esistono limiti alle risorse messe in campo in questa indispensabile fase. Necessaria è la psicoterapia per risolvere le cinque ferite primarie di cui tutti siamo vittima. Una terapia della psiche che può anche essere gestita autonomamente, ci sono in commercio un sacco di manuali di self-help che spiegano come ritrovare se stessi e i propri valori, la propria purezza, mondandosi dalle credenze imposte dall'esterno: famiglia, scuola, società. Ritrovare la calma e la pace abbandonando lo stress di dover raggiungere la destinazione imposta di soldi&potere. 
Si rende necessario un lavoro su di sé per capire i propri gusti, per conoscere i propri sogni e bisogni, ritrovare ed esprimere il proprio carattere.

Quando la terra è purificata, la piccola ghianda inizia a spaccarsi e a cercare qualcosa d'altro. 
Ci si apre a una dimensione superiore, si viene attirati verso qualcosa di rarefatto, verso il cielo azzurro e assolato che vibra fuori dalla terra. 

E dopo aver camminato verso sé per quelli che paiono essere eoni, per giorni lunghi e infiniti, per anni senza fine, fatti di battaglie contro sé, di cadute continue, di frustrazioni grandi e successi piccoli, ma costanti e continui, ad un certo punto ci si ritrova senza più nulla. 
Senza obiettivi, senza tensioni, senza fretta. Maestosi ci si erge alla luce del Sole. Ci si stiracchia e di fronte agli ostacoli ci si scansa senza fatica. Se una roccia blocca il percorso di crescita, l'albero non la sposta, ci gira intorno, danza in sintonia con ciò che trova.
Non c'è più nulla da rincorrere.

Ora la vita è diventata un solo unico divino precetto: amare nella presenza.

"Il nostro carattere e la nostra vocazione di vita sono qualità innate: è la missione della nostra vita realizzare quelle spinte." (James Hillman, Il codice dell'anima)

sabato 14 settembre 2013

Ma cosa vuol cavolo vuol dire meditare???


Si fa un gran parlare di meditazione, ed è cosa buona e giusta considerati gli effetti benefici della pratica, su tutti i livelli: fisico, emotivo e mentale.
Ma come si medita? Cosa vuol dire meditare? Ad una conferenza di Padre Anthony ascoltai la più semplice ed efficace definizione: meditare significa allargare lo spazio tra due pensieri.
Siamo costantemente immersi in pensieri, cosa fare oggi, cosa fare domani, come risolvere questo o quello. Ma con un po' di attenzione, si scorge effettivamente una pausa minuscola tra un pensiero e l'altro, un attimo di pace e di silenzio prima di ripiombare in un frenetico brusio mentale.

E quindi?
Quindi ci si siede con la schiena diritta, si chiudono gli occhi e si respira.
Un sacco di pensieri si affacciano in questo momento, dallo scettico "ma cosa sto facendo" al più classico "ma lo sto facendo nel modo giusto?" passando per "oddio mi sono dimenticato di…. (inserire qualsiasi azione non funzionale a ciò che si sta facendo, ovvero provare a concentrarsi).
Nessun paura, anche se lo scoraggiamento incalza.
Questi pensieri vanno osservati, non inseguiti, non allontanati né giudicati. Ci sono, vanno accettati.
Praticamente il consiglio, una volta chiusi gli occhi, è quello di porsi davanti a uno schermo bianco e fissare quello. I pensieri inizieranno a scorrere, li si possono visualizzare come dei sottotitoli, o dei titoli di coda: ci sono, li si nota con la coda dell'occhio, ma si continua a fissare lo schermo.
Penso che il consiglio più importante e confortante contro lo scoramento stia nelle parole di Ram Chandra: è la meditazione che porta alla concentrazione, non è la concentrazione che serve a meditare.
Ovvero: quando si medita si sviluppano attenzione e concentrazione, che sono qualità già presenti in noi ma allo stato embrionale, messe in gioco fin dall'inizio per quanto possibile. 
E' come andare in palestra… possiamo sollevare pochi pesi se non siamo allenati. Ma li solleviamo perché comunque qualche muscoletto l'abbiamo. Piano piano, un po' alla volta, con tolleranza e disciplina. E il sollevare pesi porta allo sviluppo muscolare che permette pesi sempre maggiori.
Quindi nessuno sconforto, ma tanta pazienza :)

E soprattutto… via quell'aura di serietà pomposa, e pronti a indossare un sorriso sereno e rilassato, stiamo per prepararci ad incontrare il nostro migliore amico, noi stessi! :)

Ci sono tante altre tecniche meditative, ogni tradizione e cultura propone il suo percorso per ritornare a sé, ma imparare a disciplinare i propri pensieri è propedeutico a qualsiasi passo sul Sentiero.

Per un approccio serio e divulgativo, consiglio il libro di Giuditta Dembech "Meditare è facile" (con annesso cd con meditazioni e visualizzazioni).


"con le palpebre chiuse
   s'intravede un chiarore
   che con il tempo e ci vuole pazienza,
   si apre allo sguardo interiore:
   inneres Auge, das innere Auge"




mercoledì 7 agosto 2013

Le parole sono importanti

Ci sono parole difficili da usare, eppure non esiste un valido sostituto. Parole che hanno ormai nell'immaginario collettivo una precisa connotazione, magari diversa a seconda dei gruppi che la pronunciano. Dio.
Dico Dio e penso al vecchino in calzari che dall'alto delle nuvole tutto vede e tutto giudica, a tutto sovraintende. Il Dio buono dei cattolici, il Dio punitivo degli Ebrei, Allah... 
Le correnti new age hanno iniziato a sostituire Dio con termini più "politically correct": Universo, Energia, Uno, Tutto... Eppure a livello percettivo non hanno la stessa potenza della paorla DIO, soprattutto qui in Italia, dove il legame tra Chiesa & Stato si mostra secolarmente sempre più inscindibile. Lo Stato si fa Chiesa appellandosi a precetti religiosi per non emanare qualche legge laica (biotestamento, ricerca sulle staminali, matrimoni gay...) e la Chiesa si fa Stato restando ingarbugliata in eventi sporchi e terreni (pedofilia, Ior, Calvi...). E Dio ci è stato inculcato fin dalla culla, diventando un tatuaggio sulle corde vocali e sul timpano.

Vorrei spiegare qual è il significato che dò io alla parola Dio, ma spiegare Dio non è già di per sé una tautologia? O un ossimoro? Se Dio fosse spiegabile, non sarebbe Dio... Dio è infinito e non può essere contenuto in una forma.

Ad ogni modo: prendiamo una tastiera, un monitor, un case con certi componenti elettronici ed ecco un computer. Il Tutto è più della somma delle parti.
E così quando dico "Dio" intendo tutto ciò che esiste, visibile ed invisibile. Con qualcosa in più.